Corsi per volontari
Home / La memoria che fa storia / Roberto Terreni

Roberto Terreni

 

“Essere stato un volontario della SVS è un onore”. È questo ciò che emerge con vigore dalle parole di Roberto Terreni, ma forse il tempo della frase è errato, perché se è vero che per età Roberto non monta più sulle ambulanze, nel suo sangue continua a circolare l’appartenenza alla SVS, di cui va molto fiero. Questo sicuramente è il messaggio più bello che emerge dalla nostra chiacchierata e che ci piacerebbe trasmettere con l’incisività che merita a chi vive, in diversi ruoli, l’Associazione, ma anche ai cittadini che la SVS la conoscono da fuori.
Cominciamo da principio, da quando il nostro Caposquadra Emerito Roberto Terreni muove i primi passi all’interno dell’Assistenza.
“Mi sono avvicinato alla SVS nel 1965, quando avevo 19 anni. A quel tempo l’associazione faceva un forte proselitismo, indirizzato ai giovani, perché si avvicinassero alla nostra realtà diventando volontari. Inoltre, io sono cresciuto con i racconti di mia madre sul fratello Vittorio Marconcini, che da giovane era stato un milite della SVS, ed io ne ero affascinato, così decisi di seguire le orme di mio zio. Ma parlando di fascinazione, devo anche aggiungere che ero incantato dal suono della sirena, al tempo quando passava un’ambulanza le persone uscivano dai bar per aiutare il transito del mezzo, dimostrando grande stima e apprezzamento per i militi”.

In questo primo approccio cosa ti colpì maggiormente?
“Fu Ilio Panattoni, un amico di mio padre, a fare da socio proponente (a quel tempo funzionava in questo modo) e mi accompagnò in sede per presentare la mia domanda. Ricordo che quando entrai in ufficio per consegnare la richiesta d’iscrizione, rimasi colpito da una foto appesa alla parete, ritraente Giovanni Barsotti, un volontario che dieci anni prima aveva perso la vita in un incidente stradale mentre stava andando alla SVS per svolgere il suo servizio sull’ambulanza nel turno di notte. Un’altra cosa che subito mi colpì fu la stele marmorea dove è riportata la frase Infelice colui che vede il giorno che muore senza sentirne la pietà! tratto dal romanzo storico La Battaglia di Benevento di Francesco Domenico Guerrazzi.
Come ti inseristi nell’Associazione?
Frequentai subito il corso per infermiere e questo mi permise poi di fare il servizio militare nel Corpo della Sanità Marittima, all’ospedale di Augusta. Una bella esperienza che ho potuto fare grazie alla SVS, infatti, quando nel 1965 arrivò la chiamata al servizio di leva, Panattoni che era diventato il mio milite anziano, quello cioè che mi seguiva e istruiva, mi portò da Toaff, allora segretario dell’associazione, che fece una dichiarazione attestante il mio sevizio come barelliere. Grazie a questo fui ammesso alle prove interne della Marina e dopo averle superato entrai nel corpo della Sanità Marittima”.
Raccontaci del tuo percorso all’interno di SVS.
“Dopo essermi congedato ripresi il servizio in SVS e fui promosso caposquadra infermiere, proprio per l’esperienza che avevo avuto in Marina. Cominciai anche a lavorare alla Compagnia Portuali e la vicinanza con il porto mi facilitava, perché mentre aspettavo che arrivasse la nave facevo servizio alla SVS. Nel 1974 fui eletto nel Consiglio direttivo, una data importante per la storia dell’Associazione perché si svolse la prima elezione democratica, infatti, fino ad allora il consiglio era formato da un presidente nominato dalla Prefettura e tre consiglieri di cui un rappresentante del Comune, uno dell’Eca (l’Ente Comunale di Assistenza del tempo) e uno eletto, il solo, dai Soci. Degna di nota anche la mia giovane età, infatti, fui eletto a soli 28 anni, un record per il tempo, perché a varcare la soglia del consiglio erano solo uomini ‘maturi’”.
Come giudichi l’esperienza avuta come consigliere?
“Fu molto positiva. Io ho avuto la fortuna di entrare in Consiglio con un presidente come Amleto Lemmi che era stato nella Direzione Centrale del Pci ed fu il primo segretario della Cgil di Livorno nel dopoguerra, con un vicepresidente come il cavalier Lino Veroni e Bruno Cosimi fra i sindaci revisori. Come consigliere mi fu assegnata la responsabilità della ragioneria”.
Puoi fare dei confronti fra i giovani del tempo e quelli di oggi?
“Assolutamente no. Non voglio fare alcun paragone fra giovani del tempo e quelli di oggi. È cambiato il mondo, i servizi sono diversi, oltre ad essere aumentati molto in quantità. Chi decide di fare volontariato e dedicarsi agli altri ha sempre, in ogni epoca, un buon cuore. Vorrei raccontare, ad onore della cronaca storica, come ai nostri tempi la SVS fosse anche una seconda casa, accogliente, in qualche caso più della nostra, perché vi si trovavano comfort che non tutti avevano, come ad esempio delle lenzuola dove dormire. Insomma, alla SVS si stava bene anche da questo punto di vista”.
In questo nostro lavoro di ricostruzione della storia di SVS attraverso le testimonianze dirette, vuoi aggiungere altri aspetti?
“Un’altra cosa che mi piace ricordare è l’importante ingresso in associazione delle donne. Prima non erano ammesse come volontarie, fu Alberto Polese, Ezio Suich e Ferdinando Avanzoni a spingere in questa direzione e finalmente nel 1969 le prime militesse, Mirella Guidi e Piera Cinali, presero servizio”. 
L’esperienza che più ti ha dolorosamente segnato?
“Sicuramente le grandi tragedie che hanno causato morti e feriti, come l’esplosione di un serbatoio all’Italso nel 1987 che causò la morte di 4 operai, ma ricordo anche l’incidente sulla nave Il Piave, quando durante l’allestimento fu inavvertitamente fatto scattare l’allarme antincendio con conseguente liberazione di anidride carbonica, che purtroppo uccise un ufficiale del Cemm (Corpo degli Equipaggi Militari Marittimi), che si era impegnato nei soccorsi, un eroe che non è mai stato ricordato abbastanza per il suo sacrificio. Ci furono poi gli scoppi nelle abitazioni a Shangay, in Corea, l’alluvione di Genova nel ’73. Tutti episodi dolorosi che non dimenticherò mai”.
Quale vicenda ti ha maggiormente commosso?
“La dimissione di una donna dall’ospedale, che tornava a casa dopo un ricovero di quaranta giorni a causa di un incidente stradale che le causò la rottura della mandibola. Durante il tragitto le chiesi se era comoda e lei mi ringraziò calorosamente, perché ero il primo a rivolgerle la parola dal giorno dell’incidente, perché tutti, compreso i familiari e i sanitari, non avevano pensato che pur avendo la mascella rotto poteva ancora pensare ed avere necessità di comunicare. Le sue parole mi fecero capire l’importanza del rapporto umano, dell’empatia che nasce fra volontari e le persone assistite o soccorse”.
Ti è mai capitato un parto in ambulanza?
“Sì, diversi. Al tempo, purtroppo, per cultura e tradizione le donne partorivano prevalentemente a casa con poca assistenza e ci chiamavano solo quando c’era qualche problema ed era necessario correre in ospedale. Quello che ricordo meglio, perché fui colpito dal suo epilogo, fu quello di una signora che andammo a prendere in una pensione a Quercianella. Tutto andò bene, il bambino mise la testa fuori a trecento metri dall’ospedale, l’aiutammo e non ci furono problemi e questo era sempre una grande soddisfazione per noi. Rimasi colpito però nei gironi successivi, quando seppi che la donna aveva lasciato il piccolo in ospedale per l’adozione”. 
L’esperienza più gioiosa?
“Quando montavamo di servizio alla Coppa Barontini, che per uno che veniva, come me, dal Partito Comunista era una festa di popolo. L’Assistenza era schierata su tutto il percorso e quando passava il volontario e amico Marco Bulli, impegnato al remo per la Cantina dell’Ovosodo, accendevamo le sirene per incoraggiarlo. Un’altra soddisfazione gioiosa è stato il servizio fatto al Papa quando venne in visita a Livorno, prima come presenza durante la messa e poi come scorta privata fino al campo del Gymnasium, dove lo aspettava l’elicottero per riportarlo in Vaticano”.
Cosa ti ha insegnato la SVS?
“Mi ha insegnato ad aiutare gli altri, detto in altre parole, mi ha insegnato la livornesità, perché gli abitanti della nostra città hanno un cuore grande e sono sempre pronti a dare una mano agli altri”.
Quale, fra i valori fondanti della SVS, vorresti che fosse mantenuto anche in futuro?
“La sua laicità. Mi piacerebbe anche che fossero recuperati i rapporti con le famiglie. Ai miei tempi si poteva associare l’intero gruppo familiare e ve ne erano molti”.
Ricordiamo le onorificenze che hai avuto e attestano il tuo amore per la SVS e la dedizione che continui ad avere.
“Sono cose alle quali tengo molto e che mi hanno sempre fatto piacere. Prima di tutto sono Caposquadra Emerito; ho poi ricevuto l’Onore al Merito e la Medaglia d’Oro per gli oltre 50 anni di militanza con la motivazione ‘In particolare si evidenzia l’attenzione continua per le iniziative di carattere sociale nel rapporto con il Sindacato Pensionati Spil-Cigl e per la diffusione della destinazione del 5×1000 alla Società, fin dalla sua costituzione’; ed ancora prima, nel 2015 ho avuto la medaglia come Socio d’Onore per gli oltre 50 anni di iscrizione alla SVS”.

 

Galleria fotografica

 

About comunicazione